Il Palazzo della Zisa
Il palazzo della Zisa, splendida residenza
Il Palazzo della Zisa, come gran parte delle opere architettoniche di epoca normanna, reca distintamente i caratteri dell’edilizia araba, che con la sua cultura aveva affascinato la Sicilia nell’Alto Medioevo, pur senza lasciare alcuno strascico di quel potere che l’aveva governata, ma solo qualche suddita eco nella volontà politica dei conquistatori normanni, che della perizia e sapienza medio-orientale si servirono per edificare i luoghi della loro autorità e i perni saldi della loro egemonia.
Ma la Zisa, benché maestosa nella sua mole compatta e immensa non era un luogo in cui accentrare il potere, ma già come dice il nome arabo, al-Aziz, la splendida, era destinata a combattere il caldo delle lunghe estati siciliane, rilassata negli ozi del suo Genoard (il paradiso terrestre nella tradizione araba), che la circondava e la isolava, lontana da tutto, lontana sopratutto dall’afosa Palermo posta più a Nord.
Il progetto originario del Palazzo della Zisa
La data di costruzione del Palazzo della Zisa risale all’anno 1165, tempo in cui la Sicilia era sotto il dominio di Guglielmo I, come ci informa Falcando nel suo Liber de Regno Sicilie, ma già l’anno seguente Guglielmo I era deceduto lasciando il trono al suo successore Guglielmo II, che portò a termine l’impresa nel 1175 ed il cui nome è ricordato da un’iscrizione rinvenuta nell’arcata di accesso della Sala della Fontana. Lo scopo dell’architetto era dunque quello di rendere confortevole e fresca l’estate reale e per farlo fece appello a tutta la sua formazione islamica, esperta ormai da generazioni nel soddisfare l’esigenza di riparo e ristoro dal sole cocente.
Allora il Palazzo della Zisa si trova rivolto ad Est, per meglio captare le brezze marine che da questa parte giungevano sopratutto durante le ore notturne, e che venivano ulteriormente rinfrescate dalle peschiere che, simili a specchi, animavano il giardino antistante. Ma sopratutto dalla fontana che scaturiva dal fornice centrale, il più alto e scientemente calibrato per assicurare una costante umidità che da esso saliva diffondendosi verso i piani più alti del palazzo. A completamento della facciata si trovano due fornici più piccoli anch’essi progettati per incanalare le correnti e distribuirle ai vani retrostanti, così come la disposizione delle finestre ai piani superiori è studiata ad hoc per l’identico scopo. Inoltre sfruttando una rigorosa geometria nella disposizione dei vasti ambienti e nei canali di ventilazione che li servono si garantiva un adeguato flusso d’aria temperata anche negli spazi più interni.
Il piano terra del Palazzo della Zisa, mostra un vestibolo che corre lungo tutta la lunghezza della facciata ed è unicamente dotato delle tre aperture dei fornici, la Sala della Fontana, che espletava anche il ruolo della corte, ha una pianta quadrata ed è sormontata da un’ampia volta a crociera a ogiva, gli angoli sono impreziositi da muqarnas, vivaci decorazioni ad alveare, intorno a questa sala principale si articolano gli ambienti laterali e le due scale simmetriche che conducono al primo piano.
Il primo piano presenta una superficie minore, poiché accoglie l’alto tetto della Sala della Fontana, esso con molta probabilità costituiva la zona del palazzo destinata alle donne. Dai due vestiboli che ospitano le scale si aprono due piccole finestre che danno sulla parte alta della Sala della Fontana, un osservatorio privilegiato sulle riunione della corte, ma al tempo stesso, e forse, ancor più discreto.
Il secondo ed ultimo piano era dotato di un belvedere in direzione di Palermo e del mare e, caratteristica principale, di un’ampio atrio scoperto di uguali dimensioni della Sala della Fontana, che forniva luce e aria. Ai suoi lati con simmetria ineccepibile l’architetto dispose le unità residenziali.
Le modifiche successive
I primi, pesanti, interventi di restauro che rendono il Palazzo della Zisa quale lo vediamo oggi sono da collocare nel biennio del 1935-36, quando la residenza fu acquistata da Giovanni de Sandoval, che decise di aggiungere un ulteriore piano alla struttura, chiudendo il terrazzo e ponendo uno scalone alla base dell’ala destra distruggendo la scalinata preesistente. L’aggiunta pure di una merlatura, quando il Palazzo della Zisa fu trasformato in fortezza, recò gravi danni ad una iscrizione in caratteri cufici che recava un’importante dedica. L’attività dei Sandoval si allargò inoltre alla decorazione interna facendo realizzare degli affreschi nelle zone più significative della struttura.
Nel 1806 il Palazzo della Zisa passò in mano alla ricca famiglia dei Notarbartolo, che mise in sicurezza l’edificio tramite opere di consolidamento, ma operò anche modifiche sostanziali nella distribuzione degli ambienti con l’aggiunta di soppalchi e tramezzi, ma tra le opere più invasive si annota la copertura della volta del secondo piano per pavimentare la soprastante terrazza.
La Sala della fontana e l’arcano dei suoi diavoli
Questa sala risuonava di uno zampillio continuo di acqua che, fuoriuscendo da un foro posto sulla parete di fondo, scivolava su una lastra di marmo e veniva raccolta in una canaletta la quale tagliando l’intera stanza si gettava nella peschiera subito a ridosso della facciata del Palazzo della Zisa. Questa corte era impreziosita da nicchioni laterali sormontati da semicupole decorate da muqarnas, da una fascia di lastre marmoree, su cui si stagliano colonne tortili di pietra nera e da pannelli di mosaico dallo sfondo dorato.Alzando lo sguardo verso l’altissima cupola si nota un curioso affresco movimentato da figure umane e mitologiche contro un cielo dorato avvolto da nubi, questo dipinto è riferibile al periodo in cui i Sandoval erano i proprietari del Palazzo della Zisa. La difficoltà di definire il numero preciso dei personaggi, i quali ad ogni nuova conta non risultava mai identico, fece nascere il sospetto che si trattasse di una diavoleria e le figure – dai tratti anomali per davvero – finirono di conseguenza con l’essere definiti diavoli. Dietro il loro reale numero, secondo leggenda, si nasconde la chiave che dà accesso al favoloso tesoro nascosto e dimenticato tra le aule del palazzo. Persino lo storico di tradizioni popolari Giuseppe Pitrè dedicò uno studio sulla leggenda dei diavoli, cercando di spiegare che il loro numero reale non torna mai, perché alcune di queste figure sono troppo piccole e seminascoste dalle nubi e si finisce spesso o per contarle due volte o non contarle affatto. L’effetto di distorsione, che li fa sembrare dei diavoli ballerini, è dovuto, oltre quanto affermato da Pitrè, in parte all’eccessiva altezza e in parte alla necessità di tenere il capo piuttosto piegato all’indietro, cosa che non facilita di certo un’operazione visivamente impegnativa come quella del contare.
Bibliografia per le notizie storiche e architettoniche:
G. Bellafiore, La Zisa di Palermo, Palermo 1978.
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